giovedì 20 gennaio 2011

Georgina Spengler

Se è centrale il ruolo della natura all’interno dell’opera di Georgina Spengler non lo è senza il sostegno di un’elaborazione che lo metta in relazione con il portato esistenziale e insieme con il ruolo dell’individuo nel mondo. Dunque, natura come movente per  una riflessione sulla condizione umana in rapporto al cosmo.

Ogni cosa viene messa in coltura con il suo irriducibile complementare: il microcosmo col macrocosmo, il tempo con lo spazio, la singolarità con  la molteplicità, il concreto con l’astratto. Non con l’attesa di venirne a capo, di suturare lo slabbro, di richiudere le lame delle forbici, ma con lo sguardo teso al guado, alla visione più estesa possibile, onnicomprensiva.

In fondo, la consapevolezza di sapere che nessun concetto può servire da definizione esaustiva, spinge l’artista alla ricerca della definizione composta da tesi e antitesi, da proposizione assertiva e proposizione che la contraddice, che è sicuramente più vicina al bordo irraggiungibile della verità: in questo senso, la Spengler è un’artista alla costante ricerca di complessità.

Questa attitudine è esemplificata nelle sue ultime tele che presentano come costituite da un doppio fondo: l’immagine, che fa riferimento a qualcosa di concreto (sia essa l’immagine di una cascata o di un santo martorizzato, così come ci proviene dall’esperienza o dalla tradizione) e a cui viene sovrapposta un’immagine priva di apparente legame, che si riferisce a un concetto astratto.   Alla ricerca, pertanto, di un’analogia che possa costituire, legando insieme i termini antitetici, un’ulteriore verità. Sicuramente una verità complessa, più adatta a essere utilizzata come risposta alle nostre interrogazioni e comunque capace di indicare zone di fruttuosa perlustrazione. Immagini adattissime a fungere da terreno fertilizzante per una riflessione che si dipartirà dalle immagini come un vascello verso nuove  terre.

Poiché una costante esiste nelle sue opere ed è quella legata, appunto, alle radici della propria terra, al riconoscimento di ciò che non passa, nonostante sia effimero, a  quello che resta come una staffetta di civiltà che viene passata dai propri parenti o dai propri consanguinei. Risuona allora anche nelle nostre orecchie il canto del poeta Seferis che nella mancanza della propria casa, nella perdita del proprio paese ha visto un’erosione della capacità di vivere appieno. Pietre, se restano dopo la fine di una civiltà non sono comunque mute. E’ questo il messaggio che la Spengler ci consegna: congegnare significati con gli oggetti più disparati, rilanciare per non lasciar cadere, trovare i lacci che tengono il mondo assieme. 

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