sabato 5 novembre 2011

Robert Walser “Ritratti di pittori” Adelphi, 2011

                                                                                                               
Robert Walser si avvicina alle opere d’arte da scrittore, nel senso che le opere fungono da pretesto narrativo, da molla che fa scattare l’impulso al racconto e che importa se l’opera nel racconto viene solo nominata se, appunto, poi ciò che segue è un saettante racconto, una scheggia testuale di autonoma valenza, da ascrivere al letterario tout-court.

Con “Ritratti di pittori” Adelphi, 2011, si assiste alla sostituzione incessante di diverse modalità di avvicinamento alle opere, il che non è certo determinato da una rara frequentazione, in cui la mancata familiarità determini una sprovveduta reazione,  anzi la poliedrica resa  è data proprio dalla assidua vicinanza - che il fratello di Robert, artista, contribuisce a rendere priva di soluzione di continuità -  ma resta comunque sorprendente una capacità reattiva sempre diversa.

Sempre è fatta salva la delicatezza estrema dell’autore, che mai  rinchiude l’opera in una morsa interpretativa, anzi, con il camaleontismo messo in atto, svela quello stesso dell’arte, capace di assumere una polisemia che travalica i binari delle epoche storiche.

La divagazione che pare meccanismo assai usato da Walser, anche per costruire testi in cui a tratti si abbia la sensazione, leggendoli, di aver perso il punto di partenza, il pretesto da cui il racconto ha preso le mosse,  e che ci consegna quasi la testimonianza di un’impossibilità di afferrare l’essenza di un’opera d’arte, per cui ci si gira intorno, la si affronta partendo da distantissimo punto, del tutto improvvisamente giunge così vicino all’opera da farci precipitare nel suo punto focale, nell’occhio mentale del pittore, palesandone la cifra.

Si veda la straordinaria restituzione di un quadro di Watteau: “ Costei sembra la gioia e la grazia fatte persona. Di lontano volge a te uno sguardo dolce e discreto, qua vicino, quel che vicino tu vorresti, l’estranea eppur familiare, consueta lontananza”.  Oppure, l’altrettanto deliziosa affermazione generale: “Ma quando comincerò a parlare d’arte? Parlare in sintesi di molti quadri costituisce per me una difficoltà di cui, in un certo senso, mi compiaccio sinceramente”.

Stretto è il legame che sapientemente Robert Walser riesce a istituire tra arte e vita, non isolando, pertanto, l’opera, né raggelandola in una sfera astratta, ma presentandola come vivificata da flussi di simpatia, da correnti emozionali, da percorsi razionali che servono a rimettere al centro alcune questioni altrimenti dismesse: l’utilizzo che facciamo dell’arte e che non riguarda il disinteresse kantiano con cui ci accostiamo a lei, puntando più a mettere in evidenza il ruolo che l’arte può svolgere nella nostra esistenza: evento esistenziale a pieno titolo.  

Disposizione che ci mostra come l’arte riesca a stimolare creatività e intelligenza, emotività e fantasia, che è quanto dire a ricollocarci nel mondo in prima persona, a renderci non passivi e immoti ricettori, offrendo, peraltro, un ventaglio di modi in cui l’opera può essere ricevuta e persino elusa.

Lo stile di Robert Walser, tanto semplice, quanto preciso, tanto leggiadro quanto acuto, sa essere scivoloso, superbamente superficiale fino a provocare vertigini o amorevole e accogliente, divenendo grancassa delle amate opere. In  nessun caso, tuttavia, si potrà dire che questo libro non sia prezioso quanto le opere da lui descritte.
                                                                                                          Rosa Pierno

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