martedì 9 aprile 2013

“Gisele Amantea, il kitsch non è soltanto kitsch”



Se il kitsch domina l’ambiente, le case in cui viviamo, allora accettarlo, conviverci, può  dare modo di sabotarlo dall’interno, di trasformarlo fino a fargli dire qualcosa, se non di contrario, di diverso. E’ questo l’obiettivo che persegue Gisele Amantea, artista canadese che ha già al suo attivo numerosissime mostre. Se il pretesto per l’ideazione dell’opera è dato, appunto, dall’oggetto kitsch, esso non è più immediatamente ravvisabile nell’opera artistica, poiché di  esso si colgono alfine allusioni, riverberi, echi, materie manipolate e riforgiate, sensi e modalità di impiego differenti. In particolare, fin dai primi lavori,   Gisele erge altari enormi con piccoli oggetti in ceramica (tartarughe, cappelli da cow-boy, ananas, casette) sovrastati da vasi dalle forme più improponibili, eppure familiari perché abitano le nostre case: sorta di Lari succedanei, senza scopo e senza senso, i quali non sono né giocattoli per bambini né utensili né oggetti decorativi a pieno titolo. Tuttavia, nelle opere realizzate con siffatti materiali si percepisce nettamente un’azione di recupero semantico.

Nessuno saprebbe esattamente individuare una nuova funzione per essi, eppure basta aprire un cassetto anche nella casa più ossessivamente minimalista per tirarne fuori qualcuno. Interrogarsi su questi oggetti apre uno squarcio sui nostri comportamenti, sulle nostre abitudini, al di là dell’aspetto merceologico o consumista. Tale oggetto, proprio  perché così banale e insignificante, denuncia il nostro bisogno di circondarci di ciò che è noto, di ciò che è privo di pretese. La Amantea, facendolo assurgere a protagonista indiscusso, mette il dito nella piaga della nostra mancanza di educazione estetica. Ma allo stesso tempo rivela anche l’affettività che nutriamo per questi oggetti, il fatto che li rendiamo, in ogni caso, veicolo di comunicazione.


Il kitsch è subdolo: riesce a creare oggetti fascinosi, i quali difficilmente si concedono a una riconoscibilità immediata. Si veda l’uso del “flock”, materiale che nasce dallo scarto della lavorazione di tessuti di nylon. Esso viene recuperato e utilizzato, tramite incollaggio su un supporto rigido, come carta da parato o pannelli, per il suo aspetto vellutato, lucido, di incerto statuto. Recuperando anche disegni appartenenti al modernariato, Gisele, con complesso lavoro, costruisce intere pareti decorate con questo materiale. L’aumento di scala, mette in risalto il fatto che anche un disegno ricercato può cadere facilmente nella trappola del kitsch (si vedano anche le installazioni che replicano il disegno dei merletti della tradizione normanna, ove questa volta sotto la lente d’ingrandimento cade il lavoro femminile, mai totalmente esente da una caduta nell’abisso dell’insensato). La serialità di tale riproduzione, introdotta dall’artista di origine italiana, come un avvicendamento metalinguistico, produce a sua volta una ripetizione che non vuole essere  condanna per le attività artigianali, di qualsiasi tipo o risultato esse siano. Gisele Amantea è una di quelle artiste che amano lavorare sulle faglie, sulle discrasie,  che non vogliono saldare nessuna contraddizione, ma che trovano in esse il sale dell’esistenza, il valore indiscusso dell’atto conoscitivo. Conoscere non può che voler dire scoprire contraddizioni e persino comprendere i motivi della loro necessità (ci viene in mente la ricostruzione, da parte di Gisele, di un oggetto che riproduce una sorta di medaglione realizzato con conchiglie che le donne di Halifax affidavano ai loro uomini che andavano per mare, contenente la frase “Pensa a me”).

E ancora, vogliamo rammentare, prima di concludere, un altro raffinato lavoro della Amantea, in cui l’artista incrocia continuamente esistenza e finction, film e arte, fumetti e video, per mostrare che la nostra realtà esistenziale non è separabile dal nastro continuo della proiezione cinematografica: ciascuna vita è intersecata da immagini filmiche e in essa ci sono almeno un centinaio di orsetti di peluche e portachiavi, di cactus di ceramica e gondole veneziane. In questo senso qualsiasi recupero è recupero di affettività e di rispetto, di curiosità e di morbosità, di passività e di creatività.

                                                               Rosa Pierno 

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