sabato 11 maggio 2013

Georgina Spengler con gli occhi di John Keats


Più che rappresentare i luoghi che John Keats deve avere incontrato durante il suo viaggio in Italia in cerca della sua guarigione e di quel contatto con una cultura latina lungamente sognata per aver rielaborato il lascito della cultura greca, i quadri dipinti da Georgina Spengler ritraggono visioni, paesaggi trasfigurati da un testo che si sta scrivendo mentre si guarda dal finestrino della carrozza, a rimarcare l’artificiosità del concetto di natura, la costruzione culturale del dato percettivo: da sempre difatti già inestricabilmente intrecciati sono ciò che si percepisce e ciò che si conosce.

Se in alcuni quadri il dato paesaggistico è immediatamente individuabile, la baia di Gaeta, il Lago Albano, la campagna romana, in altri è l’invasività, la persistenza del colore a sommergere i particolari, a diluirli, diremmo, con il pigmento stesso che s’espande sulle tele e invade la nostra immaginazione. E’ sul colore oleoso, morbido e pastoso, che si vede scorrere, come fosse uno schermo, il nastro testuale che percepiamo avere la sequenzialità di una pellicola filmica.


In ogni caso, il paesaggio è sempre sottoposto a delirante trasformazione, a diluizione o a ispessimento tramite il pigmento. Il verde copre tutto come fosse un inchiostro che annebbi la vista per rendere presente la voce interiore.  Sarebbe stato davvero interessante, in questo riuscitissimo esperimento di multiple sovrapposizione effettuato da Georgina Spengler in occasione della mostra tenutasi a Roma presso la Keats-Shelley House, dal 1 novembre al 15 dicembre 2008, ascoltare effettivamente le poesie di Keats durante la contemplazione visiva, quasi per constatare che testo e quadro ingaggino una lotta in cui nessun elemento può avere il sopravvento.

Dal dettaglio alla totale mancanza di particolari, dalla figura all’informale, la Spengler non effettua cesure,  domina i linguaggi piegandoli all’espressione dell’enigma   condensato nel trapasso tra sguardo e logos, tra natura e poesia. E infatti  questi molteplici livelli sono precisamente individuati quanto al tempo stesso costeggiati come solo si può fare con l’impensato. Nel lavoro della Spengler pare che proprio l’indicazione di questi trapassi sia il soggetto, e soggetto inesplicabile, poiché esso deve essere solo accennato, non ulteriormente sviluppato, al fine di conservare il nucleo generativo, la forza motrice, di essere, insomma, la fucina creativa del dialogo tra le diverse forme espressive. E di pari passo va la considerazione che il medesimo lavoro sull’immagine abbia il suo motore propulsivo proprio nella pluralità di possibili significati cui dà luogo, nessuno dei quali fissato una volta per tutte.  


Ciò naturalmente si sposa anche con la naturale attitudine del poeta John Keats, il quale intendeva individuare nella bellezza il luogo in cui la razionalità si fonde con il sentimento in una indefinita connessione attraverso cui il mondo appare trasfigurato e sublimato in poetica invenzione.   

I dipinti divengono pagina scritta in cui non il testo ha valore, ma i colori con i quali esso è dipinto, gli sgocciolamenti, le indecisioni, gli sfondi, la mancanza di lacune, in un tutto pieno che in fondo attesta la visione che la Spengler condivide con John Keats. La scrittura diviene pittura, a tratti si riconosce un paesaggio, un elemento di natura, ma siamo ben piantati nell’interiorità di Keats e per traslazione in quella della Spengler. La scrittura si dissolverà insieme al paesaggio per lasciarci dinanzi a un quadro che è la somma variabile e mobilissima di poesia e pittura.

                                                                                                     Rosa Pierno

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