martedì 13 dicembre 2016

Gilberto Isella "Acque aperte acque chiuse", Il robot adorabile, 2016 con un'incisione di Adalberto Borioli




Come cogliere meglio l'essenza dell'acqua se non quando se ne avverta la mancanza, nel deserto, nel miraggio che da esso fluisce, denso quasi come mercurio? In questo modo sgorgano le undici poesie del pregevole libretto di Gilberto Isella "Acque aperte acque chiuse", Il robot adorabile, 2016, contenente un'incisione  di Adalberto Borioli, il quale sembra, a sua volta, replicare il tema del rispecchiamento, dell'inversione di un'identità non afferrabile nemmeno nell'originale.
Non si può, per Isella, dire acqua senza dire resto del mondo, le sue mille sembianze, la sua diramata presenza. Ma assenza d'acqua vuol dire anche invisibilità, delirio, regressione a uno stadio prossimo alla sparizione di ogni cosa. Da quella conca accecata che è il deserto - occhio del mondo senza pupille - si diparte la visione mentale, la vena immaginifica assumente il miraggio non come mancanza di realtà, di verità, ma come se esso fosse cosa fra le cose. Dinanzi agli occhi sfilano le subitanee involuzioni dell'acqua metamorfizzata negli esseri che la abitano e se ne nutrono. Sulla carcassa del cammello, nello sciame di mosche, già si cela, però, la scatenata esplosione delle forme scritturali, le quali pedinano tali visioni come un alter ego. Che sia pozzo o lacustre specchio, acqua è ancora sabbia, la sabbia si muove come acqua e delfini vi guizzano e ibis vi infilzano il becco. Arsura genera visioni e  acqua stessa è visione, elemento fascinoso come nessun altro al mondo, capace di trascinare giù persino gli dei tirandoli via dalla loro tavola imbandita.  Siamo all'interno di una cornice barocca che fa sentire il suo gioco di specchi e di rimandi, di replicate essenze e differite.  Non solo perché è uno dei costanti interessi di Isella, ma perché il barocco ama i paradossi, è mutevole e incessante, si trasforma, e poi bara per stupire. Barocca è sempre la parola poetica quando vuole trasformarsi sotto gli occhi ammirati del lettore e generare spostamenti di senso al limite del veritiero. Spinge all'estremo limite le apparenze per poi costringerle nel flusso di un unico fiume. Acqua che, non certo ultima cosa, ospita umano embrione. Ma anche scrittura, la quale segue l'acqua dappresso, ne registra le forme, a sua volta rinsecchita, arsa linea nera.  Ancora acqua, è certo, ma di diversa consistenza, onirica e specularmente inversa.




Sul velo incrinato nel miraggio
s'innesta improvviso
Il tragico giallo di una ginestra

Occhio del transito, nodo espanso
In arido panno mormoratore

Dove zoppica
quel piede d'acqua diafano
con tendini di luce
aggrappati a una stella





Sola rovina materna il pozzo,
come una pala la sete
vi rimesta bocche sostitutive

Schiena contro schiena
confabulanti, le comari cause:
"L'acqua ha preferito lasciarci"

Con catinelle legate ad aquilone
due cerbiatte osano, lì
dove l'intercapedine
dell'ora
           manca




Pleura d'acque,
quadrante per ore rapprese
inscindibili

La barca e il peso
delle alghe che fremono,
i tramagli manomessi
nel sottotraccia

E vedi il pesce
imbottito di nebbia
mutarsi in cefalo immenso
che s'impenna
umido ancora d'avorio marino

Nel gorgo delle pinne
a momenti
scorgi tavole imbandite

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