giovedì 20 aprile 2017

Alessandro Carrera sul “Bruto minore” di Leopardi, con disegni di Alberto Cerchi, Fiorina edizioni, 2017




Nel lapidario leporello di Fiorina edizioni, all’interno della collana “Le lune” dedicata a Giacomo Leopardi, sia per l’icastico testo di Alessandro Carrera sia per i disegni di Alberto Cerchi, i quali evocano la nitidezza e la fermezza di ciò che è scolpito nel bronzo, tracciando la scenografia delle azioni e dei pensieri di Bruto, si porta a un livello di altissima temperatura uno dei punti cruciali del pensiero di Leopardi, poiché proprio da questo punto, nella rete concettuale del poeta recanatese, si innestano altri sostanziosi rivoli verso ulteriori nodi.
Carrera espone con agilissima andatura la questione posta dalla canzone Bruto minore composta dal Leopardi nel  1821 e ha cura di interpolarla con il testo Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e di Teofrasto vicini a morte, scritta nel marzo 1822 dal Leopardi stesso, la cui forma è “un unicum nella produzione leopardiana”, in tal modo ricostruendo la visione del poeta che ha in animo di tracciare una via priva di intralci nella definizione della virtù come illusione, usando a puntello la figura di Teofrasto, in quanto la sua scienza (citiamo direttamente dal testo Comparazione) “non fu subordinata da lui, come da Platone, alla immaginativa, ma solamente alla ragione e all’esperienza, secondo l’uso di Aristotele; e indirizzata, non allo studio né alla ricerca del bello, ma del suo maggior contrario, ch’è propriamente il vero” tanto che “non è maraviglia che Teofrasto arrivasse a conoscere la somma della sapienza, cioè la vanità della vita e della sapienza medesima”.
Carrera non tralascia nessuno dei luoghi che concorrono per il Leopardi alla dimostrazione di come, nel momento cruciale della sconfitta, Bruto comprenda che la sua vita sia stata condotta sotto l’egida di una pura illusione e mette sotto particolare illuminazione che anche la sapienza è cosa che, allo stesso modo della virtù, non fornisce alcun solido appiglio, e tanto meno consolazione, nel rovente momento della resa dei conti. Bruto ha in disprezzo gli dei e la natura, anzi li ha entrambi sfidati mostrando la forza della sua virtù, ma é vicino alla morte, che egli riceve “una rivelazione che è a suo modo una conversione rovesciata: “Bruto vicino a morire proruppe esclamando che la virtù non fosse cosa ma parola””, quasi traendo solo da quest’ultima considerazione la determinazione del suicidio.
Tracciando un quadro in cui la visione del Leopardi si riferiva all’età dell’immaginazione come a un periodo, anche sociale, nel quale la figura dell’eroe trovava rispondenza in un pensiero non ancora corrotto dalla ragione, Carrera, spinge più a fondo la sua analisi immettendovi valutazioni sulla storia, in cui è la politica che appare come scacchiera agita da uno snaturante potere che si oppone alla felicità umana, considerazioni a cui il professore di Letteratura italiana alla University of Houston (Texas) riallaccia, inoltre, il pensiero di Hölderlin e Benjamin.
In questo senso, vogliamo cogliere l’occasione per ricordare anche le parole di Francesco Flora, collegandole al ganglio tematico rilevato dal Carrera, poiché  riguardano la poesia e la felice contraddittorietà di Leopardi: è proprio la poesia, per quest’ultimo, la custode delle illusioni, in essa “il desiderio, l’illusione e il ricordo vivono come parola” e pertanto se il poeta “sempre asserì l’inutilità, il danno, la miseria della sapienza umana” è pur vero che è solo nelle illusioni che respira l’immaginazione, e ivi “il Leopardi credette di trovare il più solido bene di questa vita”. D’altronde, ancora usando il Flora per allinearci col Carrera, “solo i tristi non possono essere poeti” che potremmo parafrasare con “solo i politici….”.

                                                                                     Rosa Pierno


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